L’italiano neostandard è l’italiano che parliamo tutti i giorni. Quello più rilassato e di cui i grammarnazi hanno orrore. Ma noi, che non siamo grammarnazi, lo utilizziamo.
Anzi, sappiamo che il registro si deve adattare al contesto
L’italiano neostandard non rispetta le vecchie regole della grammatica e anzi è la grammatica che si sta adattando.
Prima di entrare nel dettaglio, voglio precisare che il registro linguistico non ha necessariamente a che fare con la terminologia tecnica perché io posso benissimo dialogare con qualcuno usando l’italiano neostandard e un lessico specifico (ad esempio, di uno sport o di filosofia).
Anzi, come ho già detto in passato, una frase deve essere chiara nella struttura. Se lo è, posso utilizzare anche termini che il lettore può non conoscere. L’ideale sarebbe che li spiegassi o che mettessi un link a un sito che ne illustra il significato.
È anche vero che qualche volte le persone dovrebbero fare lo sforzo di andarsele a cercare sul dizionario (sia cartaceo sia online) o su Google.
ALCUNI ESEMPI DI ITALIANO NEOSTANDARD
Adesso vediamo alcune caratteristiche dell’italiano neostandard
Periodo ipotetico dell’irrealtà fatto con due indicativi imperfetti invece che con il congiuntivo trapassato e il condizionale passato.
Quindi, se me lo dicevi prima ti operavo io e non se me lo avessi detto prima ti avrei operato io.
Lui e lei come soggetto al posto di egli e di ella.
Loro come soggetto al posto di essi e di esse.
Sto notando anche che lui, lei e loro stanno iniziando a sostituire esso, essa, essi ed esse anche quando si tratta di oggetti, luoghi e concetti. Anche nei complementi indiretti. Nell’orale da un po’ e ora anche nello scritto.
Diciamocelo: esso, essa, essi ed esse sono brutti. Chi li utilizza?
Gli al posto di loro quando ci si rivolge a più persone.
Accordo a senso. In piazza c’erano un migliaio di persone. Il soggetto grammaticale è un migliaio e pertanto il verbo andrebbe al singolare.
Forme come a me mi e ma però.
Passato prossimo invece del passato remoto.
Presente al posto del futuro.
Doppio complemento oggetto (Esch sur Alzette l’ho visitata nel 2006). Forse questa è ancora tipica della forma orale. I linguisti la chiamano dislocazione a sinistra (la mangi la pasta?).
A me mi e ma però non sono bellissime da leggere.
Le altre vengono utilizzate anche nello scritto e non sono più un errore (anche se a qualcuno questo non piace).
Naturalmente, se voglio tenere un registro alto, le eviterò. Non tutte: ormai, egli ed ella non si usano più neppure nei contesti aulici.
Voglio precisare che il registro non ha a che fare per forza con il livello culturale delle persone. Ad esempio, due laureati che vanno a fare un aperitivo quasi sicuramente adopereranno delle forme dell’italiano neostandard.
A dire il vero, non è una situazione nuovissima: già negli anni ’80 e ’90 alcuni insegnanti accettavano alcune di queste forme. Il primo a utilizzare l’espressione italiano neostandard è stato il linguista Gaetano Berruto nel 1987.
Invece, un altro linguista, Mirko Tavoni, nel 2005 per le forme accettate nel parlato nel parlato ma non nello scritto ha proposto di usare il termine italiano substandard.
IL TONO DI VOCE
Il registro linguistico, il tipo d’italiano e il lessico c’entrano con il tono di voce ma non lo esauriscono.
Anche la punteggiatura contribuisce perché dà il ritmo.
Pure il numero di parole contribuisce al tono di voce (o tone of voice): un conto è dire esca e un conto è dire gentilmente può uscire.
Il tono di voce è il modo in cui un’azienda o un ente comunica e deve tenere conto del target e dello stile dell’azienda o dell’ente. È come se li sentissimo parlare.
Può essere: freddo, caldo, colorato, neutro, formale, informale, amichevole burocratico, istituzionale, colloquiale, distaccato, ironico, istituzionale, onirico, professionale, realistico, rispettoso, sarcastico, serioso, tecnico.
Qui trovate qualche esempio.
Quello ironico e quello sarcastico sono molto rischiosi: bisogna saperli usare e devono essere in sintonia con lo stile di lo utilizza.
Il burocratese
Uno dei toni di voce è quello burocratico. Lo usano gli enti pubblici.
Si parla anche di burocratese e non gli si dà mai un’accezione positiva.
Il rischio è che le persone non capiscano quello che c’è scritto nei documenti e che provino diffidenza nei confronti delle istituzioni.
Il linguaggio burocratico e giuridico è quello ma si può fare in modo di renderlo meno ostico. Ad esempio, la Regione Veneto ha deciso che ogni documento in burocratese verrà affiancato da un documento di sintesi scritto in italiano corrente (neostandard?) che avrà lo scopo di tradurlo.
PAROLE STRANIERE, ACRONIMI E ITALIANO NEOSTANDARD
Infine, due righe sulla proposta di Rampelli di vietare i termini stranieri.
Se da una parte troppe parole straniere rendono difficile la comunicazione, soprattutto tra il istituzioni e cittadini, dall’altra molte di loro ormai fanno parte del nostro vocabolario.
Al punto che la parola italiana ci suonerebbe strana (ad esempio, castagne candite invece di marron glacé).
Un discorso simile lo possiamo fare per gli acronimi: alcuni sono familiari e fanno parte del linguaggio corrente ma altri no e per questo rendono difficile la comprensione.
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